26/05/09

Una Catàbasi per Don Quijote




UNA CATÀBASI PER DON QUIJOTE

In ogni opera letteraria (o quasi) che aspiri al modo epico c’è una catàbasi, di fatto nella quasi totalità dei romanzi moderni (senza contare la sua presenza nel cinema) c’è una discesa agli inferi. Che sia nella Milano appestata di manzoniana memoria, o nella Londra notturna di Stevenson o nei labirinti potteriani, la catabasi continua a essere (come per l’epica) un topos fondamentale per la letteratura.

Il grande romanzo di Cervantes, naturalmente non fa eccezione, ma anche se nascosta dalla maschera della parodia continua a fare ciò per cui è stata creata.

Non sorprendo nessuno dicendo che il racconto di Don Quijote su ciò che ha visto nella grotta di Montesinos ha il sapore di catabasi. Infatti è proprio li che Cervantes ha collocato la sua parodica discesa agli inferi. Altresì non ri-sorprendo nessuno, affermando che Cervantes, per questa avventura, si è ispirato all’episodio di Marfisa nella grotta di Merlino (Orlando Furioso III). Ma vorrei invece sorprendervi affermando che il compito della catabasi in questo episodio, anche se è seppellito sotto uno o più sensi ironici, rimane quello classico, cioè ha il compito di cambiare il destino di Don Quijote.

Ma per capire meglio ciò che voglio dire, è opinabile fare un ecfrasi sul topos accennato.

Dal dizionario garzanti;

CATÀBASI, dal greco Katàbasis, parola composta da; Katà “giù” e Basis “cammino”. 1) Presso gli antichi greci era la discesa agli inferi. 2) Ma significa anche ritirata.

È sempre utile aver ben chiaro cosa significhi il termine che si deve analizzare, questo è il motivo perché ho voluto inserire la definizione dal dizionario. Dunque la traduzione letterale sarebbe “cammino di sotto” inteso nella Grecia classica, o meglio Omerica, come visita all’oltretomba da parte di un vivo. Non di un vivente comune, quindi niente; pastori, mercanti (anche se…), artigiani, o politici, ma di un eroe. Un eroe che ha bisogno di particolari risposte, risposte che può ottenere solo nell’Ade. Ebbene si, i morti sono coloro che vedono nel futuro meglio di qualunque altro, eccetto forse gli oracoli, ma hanno l’innegabile vantaggio, rispetto a questi, di essere chiari, infinitamente più chiari. Certo non tutti possono intraprendere il cammino che porta nell’Ade, solo diciamo coloro che hanno un compito più alto e che per prendere le istruzioni in merito, devono fare il viaggio. Perché naturalmente è pericoloso e mortale fare una capatina all’inferno e i motivi che spingono un eroe devono essere motivi veri (quindi niente rimpatriata con amici e immancabile briscolata finale). Come ci ricorda Sergio Zatti; “Guardare in faccia la morte costituisce l’impresa più ardua che un eroe possa affrontare”. Quindi solo coloro cha hanno un vero motivo, un motivo che porterà il suddetto eroe a conoscere le soluzioni ai problemi che toccano, si, tutti coloro che hanno a che fare con l’eroe, ma che solo lui può risolvere, perché solo lui ha le caratteristiche necessarie e sufficienti, per intraprendere il cammino verso il regno dei morti.

L’eroe comunque nell’Ade per passare la prova deve prima morire e poi rinascere, e non è detto che essendo una morte e una rinascita simbolica non faccia male, di fatto è un’iniziazione. Tralasciando tutto ciò che questo vuole dire, (volendo approfondire l’argomento ci vorrebbe un volume solo per questo, e non detto che si esaurisca, l’argomento intendo, anche se è più facile che si esaurisca prima il compilatore del volume), la cosa che più ci interessa e che questa rinascita porta colui che la subisce a uno stadio di consapevolezza più chiaro. Infatti (parlando solo di eroi epici) per Odìsseo la discesa agli inferi (Odissea libro XI) è la prova per eccezione, è la prova che gli consentirà di conoscere la situazione che si è venuta a creare a Itaca, e una volta che l’avrà superata, dovrà decidere il da farsi.

Dunque, se per Odìsseo si tratta di una iniziazione individuale; per un altro eroe epico, Enea (Eneide VI) la discesa agli inferi sarà il fondamentale momento dell’investitura della missione gloriosa di cui era destinato sin dall’inizio ma che fino a quel momento era totalmente allo scuro.

Passando per Dante Alighieri che della catàbasi ne ha fatto un geniale motivo poetico. La visita nei tre regni è di fatto una catàbasi. Considerando le tre catàbasi si può vedere come con Odìsseo entriamo nell’ambito individuale, poi con Enea si attraversa l’ambito nazionale, e infine con Dante si esce con l’ambito universale (è una specie di Climax). Perché la strada che lui ci indica è la strada che deve percorrere chi vuole essere salvato e può essere percorsa da chiunque adori il vero Dio.

Per tagliare corto (anche perché con questi tre esempi si è esaurita tutta la varietà di catàbasi, o quasi) si può dire che nell’ambito moderno, il topos è passato dall’appartenenza storico-mitologica a quella metaforica - psicologica e dove (ancora Zatti) .

Oltre al suddetto passaggio, nei poemi epici moderni, molto spesso, non solo l’eroe nella visita al regno dei morti conoscerà il suo futuro, ma la visita è anche una espiazione per una colpa precedente.

È il caso della follia di Orlando che proprio qui diventa discesa agli inferi soltanto metaforica. E soprattutto la catàbasi nella Gerusalemme Liberata, dove l’Ade, è la foresta di Saron ed è catabasi per Rinaldo che avendo preferito gli errori dell’erranza, dovrà (per divenire l’arma cristiana) superare la prova (qui si, anche iniziazione nel senso antropologico del termine) affrontando gli incantesimi della selva, stregata da Ismeno, e dove prendono corpo i fantasmi dell’inconscio di ciascuno dei crociati che provano a misurarsi con essa (e dove, ahimè, anche il mio Tancredi fallisce la prova). Naturalmente Rinaldo in quanto prescelto da Dio riuscirà a disincantare la selva venendo a capo dei propri fantasmi.

Ecco che allora veniamo a sapere chi solitamente è destinato ad avere successo. Solo i prescelti dagli dei, hanno i mezzi per riuscire nell’impresa. Infatti Odìsseo era un prescelto, così come Enea e Dante.

C’è ancora un’ultima cosa da comprendere prima di affrontare la catàbasi di Don Quijote; così come c’è stato un allargamento della catàbasi con Dante, il quale ha fatto crescere il suo poema su questo topos, rendendo di fatto la comedìa una grande discesa agli inferi. Cervantes ha applicato, allargandola, la catàbasi di Orlando, al suo poema. Così come fece Dante prima di lui, ha fatto del suo poema un’enorme discesa agli inferi. Con una singola ma sostanziale differenza: la catàbasi di Orlando è la sua pazzia ed è questo tipo particolare di discesa agli inferi (follia uguale a viaggio nel inconscio), che Cervantes ha utilizzato. Quindi non solo ha di fatto sancito il passaggio dalla catàbasi mitica a quella psicologica (ricordarsi che non è Tancredi il destinatario della prova, ma nell’opera di Cervantes lo è sicuramente Don Quijote) ma ha anche allargato (come Dante) questo speciale tipo di cammino nell’inferno, permettendo poi l’utilizzo del topos in questa forma particolare in quasi tutti i romanzi successivi.

Ma è ora di saldare il debito, come si è visto la catabasi è di fatto una prova a cui il campione si deve sottoporre per poter andare avanti, non solo; ma è altresì l’unico modo per far conoscere all’eroe di turno, quale triste cammino lo attenda (nel caso di Don Quijote triste davvero), rivelandogli il suo futuro.

Detto questo quando Don Quijote finisce il suo racconto su ciò che ha visto nella grotta, diviene estraneo a se stesso, di fatto i lettori avvertono che qualcosa si è rotto[1]. Avvertiamo tutti che da quel momento le follie dell’hidalgo sono meno folli, le taverne non sono più castelli ma locande, e i locandieri sono locandieri e non castellani, non solo ma interagisce con la stessa realtà in maniera più normale, e sarà folle solo quando gli altri lo tireranno per le coperte, come è accaduto alla corte dei duchi. Di fatto non è più la realtà a dargli gli appigli per le sue avventure, ma sono i personaggi che incontra, che facendogli credere vera un’avventura di derivazione libresca gli alzeranno la palla per la schiacciata finale.

Che significa questo? Semplice, al di sotto della maschera parodica della visita alla grotta di Montesinos, con tutto quello che li sotto accade, e con tutta la forza comica d’impatto che quel racconto ha sui lettori, c’è, dicevo, una grande verità, verità che nemmeno la fantasia di Don Quijote può mascherare. La verità è il vero male dell’hidalgo, la verità (leopardianamente parlando) è ciò che ucciderà Don Quijote, non lo ucciderà la sconfitta patita contro “il cavaliere della bianca luna” in quanto in quell’occasione gli fu intimato di restare lontano dalle sue amate avventure solo per un anno. Non lo ucciderà la realtà del secondo Quijote, ben più pressante che non nel primo (e del resto come potrebbe ucciderlo la realtà se lui, e ne è consapevole, è il cavaliere che difende l’immaginazione dalla prosa del mondo?), non lo ucciderà sicuramente la caterva di scherzi che ha subito, anzi!!!. Lo eliminerà la verità, verità che come un tarlo, scaverà nella sua coscienza facendolo rinsavire, e rinsavito non potendo vivere senza le sue illusioni, morirà. Ma qual è questa verità? Bella domanda, io non vorrei rispondere, ma devo, non voglio perché come dice Don Antonio: “- Ah signore! – esclamo Don Antonio – Dio vi perdoni il torto che avete fatto a tutto il mondo cercando di far rinsavire il più grazioso pazzo che vi si trovi. La sua saviezza non arriverà mai a compensarci del piacere che egli ci da con le sue stravaganze …” e ancora più in basso “… e se non fosse contro la carità, vorrei che Don Chisciotte non guarisse mai …”, ma devo.

La verità che egli comprende solo nella grotta di Montesinos, è il fatto che non solo il tempo dei cavalieri erranti è finito, terminato (verità questa che da sola basterebbe a far crepare di dispiacere il povero cavaliere) ma che tutto ciò in cui crede è letteratura. È letteratura Merlino, è letteratura Orlando, Tirante, Amadigi con suo fratello, ed è letteratura, infine Dulcinea.

Quindi è la verità che lo ucciderà, ma la riscoperta della realtà è stata possibile proprio grazie alla catàbasi. Ricordate che vi ho accennato l’idea che non solo egli viene a sapere qual è il suo posto nel mondo (e guarda caso tutto ciò che immagina di aver visto è letteratura, ed egli stesso a quel punto è solo letteratura), ma anche che agl’inferi l’eroe viene a sapere del suo destino?

Già tutto ciò è stato possibile grazie alla Catàbasi. Ma c’è un’ultima cosa; come Enea, come Ulisse, come Rinaldo, e come Dante, Don Quijote agli inferi riceverà l’ultimo compito, il compito di difendere la letteratura che a mio avviso nel Quijote è rappresentata dall’impareggiabile Dulcinea. E la difenderà anche a costo della sua vita. Infatti quando sconfitto del “cavaliere dalla bianca luna” si troverà nella situazione di dover accettare le condizioni del duello, le accetterà tutte tranne quella che vuole la sua dama meno bella di quella dell’avversario, e infatti esclamerà “Dulcinea del Toboso è la più bella dama del mondo e io il più disgraziato cavaliere della terra. Ma la mia debolezza non deve compromettere questa verità. Colpisci dunque, cavaliere, e toglimi la vita, poiché mi hai tolto l’onore.” .

È un po’ che mi gira in testa quest’idea, ma se vi dicessi che per me Dulcinea è non solo la letteratura cavalleresca, ma tutta la letteratura? Ci sono dei buoni motivi per pensare questo:

Nessuno la mai vista, (nemmeno Sancho) ma solo immaginata.

Mi sembra strano che Cervantes, abile com’è a trarre ironia dai nomi che da’ ai suoi personaggi, non si sia inventato qualcosa di meglio per la dama delle dame, anzi a ben guardare Dulcinea è un nome molto adatto per ciò che rappresenta. Basti, come prova intendo, ricordarsi che Dulcino e Dulcina, erano due protagonisti di una favola pastorale molto amata nella Spagna del tempo, e non essendoci giochi sul nome di Dulcinea (portatrice di dolcezza) mi autorizza a pensare che fosse un racconto amato anche dallo stesso Cervantes.

Infine c’è da chiederci perché tra tutti i personaggi che nella grotta sono presenti e che hanno bisogno di essere salvati, solo Dulcinea gli chiede aiuto. E tutti i figuranti presenti in quel luogo chiedono a Don Quijote di salvare Dulcinea.



[1]A questo proposito c’è però da considerare il fatto che nella catàbasi non muore solo l’eroe ma anche il testo, muore per rinascere, come insegna Enea; l’Eneide si compone notoriamente in una prima parte della odissiaca e una seconda detta iliaca, divise dalla cerniera del Descensus ad inferos. Da cui l’Enea errante ritorna mutato portando con se la nuova consapevolezza di una missione storica da compiere. VDB

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